Post

Visualizzazione dei post da novembre, 2018

De-Complexity e crescita: quale armonia?

Immagine
Sempre di più grandi aziende attivano progetti al loro interno di “de-complexity” con l’obiettivo di semplificare i processi, magari trovando lo spazio per ottimizzare risorse. Anche se ci sono molti modi di partorire progetti di questo tipo, possono essere per esempio di natura organizzativa e non puramente finalizzati ad aspetti economici. Dall’altro lato l’obiettivo del “sistema”, tra cui primariamente dell’azienda capitalista, è quello di trainarci tutti verso la crescita; generatrice per sua natura di complessità entropica.   Mettendo insieme queste due istanze è interessante vedere il paradosso che si crea tra questi due paradigmi che si contraddicono: più aumenta la crescita più aumenta la complessità, allora bisogna aumentare la complessità facendo, appunto, della de-complexity. Se nell’imperialismo consumista semplicità = povertà, allora bisogna puntare sul trade off , sull'ossimoro di un management che sappia gestire una crescita che sia meno complessa (un po'

Ordine mondiale

Seguendo il ragionamento di alcuni post precedenti, diventa chia ro come l’impasse entro cui ci troviamo per non essere ancora in grado di affrontare un “cambiamento di paradigma”, è un problema decisionale in pancia alla politica. Se quest’ultima è vittima del “bene totale” anziché del “bene comune”, per poi essere vittima della post democrazia, ovvero dell’oligarchia partitica, sarebbe interessante immaginare: da un lato come può funzionare una democrazia diretta e su quali basi può nascere un ordine globale che è l’unico capace di affrontare i problemi globali che ci troviamo davanti. A tale ultimo proposito vorrei far riferimento a tre libri: Domani, chi governerà il mondo? di Jacques Attali Come si governa il mondo di Parag Khanna Ordine mondiale di Henry Kissinger Tre grandi pensatori contemporanei che, ben lontani dalle impostazioni che mettono in discussione la nozione di crescita, a vario titolo e modo si esprimono sulla necessità di una governance globale.

Alternative concrete alla crescita

Immagine
Considerato che lo “spirito del tempo” non vede che ragioni economiche legate alla crescita (teologia del crescismo) occorre prefigurare il cambiamento a partire dall’economia stessa, altrimenti si rischia di non avere platea e ascolto. D’altra parte, se l’allarme di una distruzione dell’ecosistema, del conseguente rischio di collasso sociale, dei rischi per la salute, non riescono a smuovere sensibilità e politiche a larga scala, conviene riportare la minaccia sul piano squisitamente economico. Magari invitandoci alla bizzarra riflessione di quanto ci potrebbe costare un collasso: https://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2018-11-24/agenzie-usa-contro-trump-l-effetto-serra-entro-2100-cancellera-10percento-pil-americano-083640.shtml?uuid=AEctokmG Alla faccia che, per la saggezza popolare, la prima cosa “non erano i soldi ma la salute”! La cosa sconvolgente non è il rischio di un crollo dell’attuale ecosistema che può generare indesiderati e imprevedibili effetti per il nostro benes

Più informazione o più opinione?

Ieri, 22 novembre 2018, accendo la Tv e ascolto due telegiornali: prima RaiUno e poi RaiDue.  1) Sul TG1, ovviamente verso la fine, si parla di questo:  https://www.corriere.it/cronache/18_novembre_22/clima-nuovo-record-gas-serra-l-allarme-dell-onu-agire-subito-4dba8474-ee3f-11e8-862e-eefe03127c3f.shtml L'allarme ONU sul clima, che segue un altro allarmante rapporto pubblicato sempre dall'ONU non troppo tempo fa e che ha visto coinvolti molti scienziati (che francamente non vedo quali lobby possa muoverli, a differenza di chi è negazionista sui disastri ambientali). Occorre notare che, a mia memoria, a partire da agosto non ci sono mai stati così allarmi e informazioni sul tema. Allarmi preceduti da eventi climatici atipici come: la siccità di quest'estate in tutto il nord Europa, un paio di cicloni negli Stati Uniti, le piogge torrenziali in Italia, gli incendi che hanno distrutto qualche giorno fa la California, che hanno fatto dire a Trump che "forse"

Lavorare con una laurea umanistica?

Come non scrivere un post su questo tema? Lo trovo un argomento interessante per una duplice ragione:  a) personale (come si sarà capito, vivo la scissione tra laurea umanistica e lavoro in azienda) b) socio/culturale. Questo punto è fare della meta-indagine, ovvero applicare i metodi di indagine e le sensibilità "umanistiche" per capire il ruolo di questo insieme di discipline nella società.  Girando un po' sulla rete ci si imbatte in correnti di pensiero più o meno ottimiste sul ruolo delle scienze sociali nel mondo lavorativo. Anche qui, come in un precedente post, se ci poniamo domande come:  è possibile fare il manager restando brave persone? è possibile lavorare in azienda con una laurea umanistica? ...è ovvio come si sta giocando sulla difensiva: la natura stessa della questione pone in sé un problema. Il che dovrebbe già insospettirci. Ad ogni modo, vorrei dare la mia opinione personale su questa faccenda, considerato che da anni lavoro in una gra

Fare i manager rimanendo brave persone

Vorrei proporre alcune riflessioni su un libro letto recentemente: Fare i manager rimanendo brave persone. Istruzioni per evitare la fine del mondo (e delle aziende) di Giuseppe Morici. Pensavo fosse un testo leggero, commerciale, in parte lo è ma contiene spunti interessanti, soprattutto per persone che, come me stando in azienda, vivono gli stessi dilemmi. Un libro fatto da un manager che ha vissuto sempre in prima linea in azienda. Un libro dal titolo significativo in quanto la domanda stessa che si pone presuppone che il sistema entro cui opera non è buono. Da qui la questione del tutto contemporanea e applicabile in molti ambiti: possiamo restare brave persone quando “il sistema” si presuppone “cattivo”? Essendo tutti “vittime e carnefici”, come si notava in un precedente post. Certo, possiamo attenuarne gli effetti, far valere comunque sempre la nostra umanità ma già la domanda ci fa giocare sulla difensiva. Piuttosto, non sarebbe meglio porci l’interrogativo se è possibile

Consumare: l'unico vero dovere civico. Dai Black Friday alle notti bianche

Immagine
Questo venerdì cosa fai? Compro perché ci sono tanti sconti è il "Black Friday"! Non bastava riempire di marketing natalizio e pasquale tutti i punti vendita settimane prima delle ricorrenze, non bastava neppure sviluppare tutto il potenziale commerciale di  Halloween (molto più sfruttabile il "dolce o scherzetto" piuttosto che le maschere di carnevale), San Valentino e chissà quanti altri. Non bastava neppure sfruttare i ritmi più distesi dell'estate attraverso le "notti bianche".  No, bisognava ovviamente creare una ricorrenza ad hoc  per promuovere gli acquisti attraverso sconti eccezionali. Al punto tale che, se non esistesse Wikipedia, in ben pochi saprebbero che lo sfumatissimo legame con la tradizione di questo evento commerciale è con "il giorno del ringraziamento". Oggi ringraziamo per uno sconto in più , che ci spinge a comprare qualcosa in più di inutile.  Tutto ciò dimostra come consumare, nel contesto capitalistico/indi

La politica del nostro tempo

Immagine
Come visto in un post precedente, il circolo vizioso che impedisce un cambiamento di paradigma si rafforza internamente e solo uno shock esterno, esogeno, può spezzarne le dinamiche. La storia ci dimostra (dalla rivoluzione francese a quella d'ottobre) che la classe al potere difficilmente lavora per la sua estinzione, piuttosto, per definizione, lavora per consolidare e rafforzare la sua posizione. Ad esempio, è per questa ragione che autori come Colin Crouch parlano di postdemocrazia , caratterizzata da una crescente dimensione oligarchica, dalla corruzione e influenza di lobby. A proposito di queste ultime, chiunque conosca l'ambiente istituzionale di Bruxelles sa quanto lì siano onnipresenti le lobby. Ciò può apparire normale se siamo abituati a pensare in modo cinico e irriflessivo sulle leggi economiche che governano inevitabilmente il mondo, tuttavia il principio che sta alla base della democrazia, secondo il quale si estende il processo decisionale e il potere civico a

Cosa ci impedisce di cambiare?

Immagine
Diventano sempre più frequenti le critiche all'attuale assetto economico/politico, in cui le leggi economiche appaiono come inevitabili e connaturate (si pensi al darwinismo sociale: la selezione naturale sembra essere fonte di crescita ed evoluzione); quelle politiche come subalterne a quelle economiche. La lista può essere lunga: crisi economiche, ecologiche, sociali. Certo, si dirà, ci sono sempre state le crisi, in fondo viviamo nel momento di maggiore benessere in cui l'uomo si sia mai trovato. Certo, si risponderà, la pensavano così anche negli anni in cui i debiti degli Stati Nazione diventavano sempre più grandi: non si viveva forse nella fiducia che quel debito prima o poi sarebbe stato estinto? Oggi quella vecchia fiducia si rivela un problema dal quale non se ne esce così facilmente, vecchie speranze possono diventare nuovi problemi. In ogni cosa sperimentiamo prima la necessità, poi l'opportunità di una crescita, di un evolversi, fino a quando quella stessa cre

I premi Nobel per l'economia: tutto dire

Ottobre 2018, il premio Nobel per l'economia va a due studiosi  William D. Nordhaus e Paul M. Romer in quanto: "il  loro lavoro ha permesso di mettere a punto metodi per rispondere a una delle domande più pressanti del nostro tempo, cioè  come favorire una crescita economica che sia allo stesso tempo durevole e sostenibile "  https://www.focus.it/comportamento/economia/nobel-economia-2018-william-nordhaus-paul-romer Insomma, un premio che conferma l'ideologia della crescita nella quale siamo immersi. Servirebbe meno di un premio Nobel, semplicemente del buon senso, per capire che "una crescita economica durevole e sostenibile" (magari anche Green , che manca come aggettivo) non è semplicemente possibile in una terra finita. Certo, possiamo andare avanti ancora qualche anno, per carità, ma questo premio è la massima rappresentazione della fede nel fatto che l'innovazione tecnica possa creare le condizioni di una crescita infinita.  A mio avviso sarebbe m

Qual è il ruolo delle scienze umane?

Immagine
Per chi, come me, ha un'estrazione umanistica spesso si chiede a cosa possano servire le "competenze" (ma forse sarebbe meglio parlare di "sensibilità") apprese durante anni di studi e letture in questo ambito. Di fatto una scienza sociale come l'economia si è trasformata nell'apoteosi tecnica della razionalità. Non è un caso che l'intelligenza artificiale arriva a minacciare le nostre sfere cognitive (arrivando a dirci cosa dobbiamo fare in tempo reale). Infatti, già a partire dall'illuminismo prima e dal positivismo poi, abbiamo delegato alla razionalità più riduzionista qualsivoglia decisione. Si pensi alle curve di indifferenza ( https://it.wikipedia.org/wiki/Curva_di_indifferenza ), in cui i bisogni vengono ridotti a utilità.  Allora cosa resta all'umanesimo? Dell'arte? un nostalgico romanticismo?  Chi lavora nelle aziende oggi coglie, come un monaco in un monastero medioevale, il  light motif del nostro tempo. Un'interessa