De-Complexity e crescita: quale armonia?
Sempre di più
grandi aziende attivano progetti al loro interno di “de-complexity” con l’obiettivo
di semplificare i processi, magari trovando lo spazio per ottimizzare risorse. Anche se ci sono molti modi di partorire progetti di questo tipo, possono essere per
esempio di natura organizzativa e non puramente finalizzati ad aspetti
economici.
Dall’altro lato l’obiettivo
del “sistema”, tra cui primariamente dell’azienda capitalista, è quello di trainarci
tutti verso la crescita; generatrice per sua natura di complessità entropica.
Mettendo insieme
queste due istanze è interessante vedere il paradosso che si crea tra questi
due paradigmi che si contraddicono: più aumenta la crescita più aumenta la
complessità, allora bisogna aumentare la complessità facendo, appunto, della
de-complexity.
Se nell’imperialismo
consumista semplicità = povertà, allora bisogna puntare sul trade off, sull'ossimoro di un management che sappia gestire una crescita che sia meno complessa (un po' come lo sviluppo sostenibile).
Ma la crescita ha un costo,
anche un costo sociale. Le vite diventano più frenetiche, oltre una certa
soglia il paradosso di Easterlin ci mostra che non è la ricchezza a fare la
felicità. Anzi, alle volte il confronto può essere deleterio per l’idea di
felicità che abbiamo, tenendo conto che ogni problema è un problema di
aspettative. Per questo arriva nelle aziende il CHO: il manager della felicità.
Arriva per gestire una complessità un po’
lontana dalla velocità cognitiva con la quale ci siamo evoluti rispetto a
quando, non moltissimo tempo fa da un punto di vista evolutivo, eravamo nelle
savane a cacciare un po’ di selvaggina (alla faccia di chi dice che siamo
vegetariani!).
Insomma il business è creare problemi per risolverli, un po’
come le società di consulenza: le fai entrare per risolvere un problema e le fai uscire con almeno due.
Siamo infelici perché c’è troppa complexity, e c’è
troppa complexity perché non puntiamo alla (semplicità) della felicità: “Il
massimo della civiltà non sta nel possedere, nell’accumulare sempre di più, ma
nel ridurre e limitare i propri bisogni” (Gandhi). Abbiamo bisogno della
complexity per sopravvivere ma questa corsa ci rende infelici. La cosa triste è
che gli strumenti che mettiamo in atto per la felicità perduta sono “compensativi”,
dei surrogati che arrivano in ritardo a rimediare al problema piuttosto che
prevenirlo.
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