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Visualizzazione dei post da dicembre, 2018

“La Democrazia diretta vista da vicino” – risposte concrete

Questo è il titolo del libro di Leonello Zaquini, nel quale mi sono imbattuto non troppo tempo fa. L’autore, emigrato in Svizzera, offre diversi spunti a partire dalla sua esperienza pratica su come può funzionare un modello democratico di questo tipo in un paese di certo non piccolo (quasi 8 milioni e mezzo, organizzato a livello confederale). Un testo/esperienza che ho trovato interessante poiché l’autore non era originariamente interessato di politica (è un ingegnere), “si è scoperto” interessato a contatto con l’alterità dell’approccio svizzero. Quando si parla di politica, di crescita, di economia, è facile criticare senza offrire alternative. Come nel caso di un precedente blog: “alternative concrete alla crescita”, qui vorrei offrire alcuni spunti per portare la discussione della democrazia “dal bar” alla concretezza. Il libro di Zaquini è interessante poiché, oltre ad affrontare tutte le possibilità di democrazia diretta (ad esempio, dai referendum obbligatori a quelli fa

Democrazia (in)diretta

Strano pensare come alcuni dei cavalli di battaglia del Movimento 5 Stelle ora si trovano al governo italiano. Eppure non sembrerebbe. Grillo e i suoi seguaci parlavano di decrescita, andare aldilà del PIL. Certo, come dice Salvini, “nessuno si attacca ai decimali” quando ci sono in gioco interventi sociali. Eppure non si fa altro che parlare di decimali, ora dal 2,4% di deficit-Pil si arriva al 2,04%. La somiglianza apparente dei numeri sarà l’effetto 0,99 centesimi…? Altro che aldilà del Pil, tutta la manovra è incentrata sul rilanciare la crescita. Strano pensare come la rivendicazione dei 5 Stelle per la democrazia diretta, sul modello svizzero, vede il reddito di cittadinanza nella legge di bilancio, quando in Svizzera il reddito di cittadinanza è stato rifiutato a seguito di un’iniziativa di referendum popolare. In effetti, se la priorità è ristabilire un contatto con i cittadini, non un “contratto di governo”, perché non cambiare innanzitutto lo strumento del potere? I

Quale responsabilità sociale d’impresa?

Occorre ritornare sui pilastri dell’economia e della cultura contemporanea (visto che le due cose coincidono sempre di più), ovvero l’azienda. Interessante a proposito è il fenomeno del “Corporate Social Responsability” (CSR), in breve: quell’ambito entro il quale le aziende si mostrano interessate e preoccupate alle esternalità che producono verso l’ecosistema ambientale e sociale. Non di rado si fa sempre più riferimento “all’etica d’impresa”, ai codici etici, appunto, alla responsabilità sociale. Senz’altro qualcosa di positivo, che però dimostra, ancora una volta, la necessità di reagire a quella “mano invisibile”, a quella neoliberista “marea che alza tutte le barche”, fautrice di tanta deregolamentazione. Un fenomeno interessante che, purtroppo a essere onesti, segue la linea dell’ossimoro, della contraddizione. Infatti, nell ’economia della conoscenza , lì dove il fattore marketing riveste un ruolo centrale, il CSR diventa un modo per “vendersi” più che autentica responsabil

La lezione francese

Aldilà della generica antipatia transalpina che ci lega con i nostri vicini francesi occorre però notare che sulla questione ambientale ci stanno catapultando verso il futuro. Infatti, hanno un ministero della transizione ecologica che ha provato a fare il suo lavoro facendo diventare manifeste, più che altrove, le tensioni potenziali tra questione ambientale e stili di vita (sostenuti dalla crescita). La Francia, pur essendo “avanti” sotto questo punto di vista, se solo si considera il nome del ministero (appunto, si parla di “ transizione ecologica” e non semplicemente di “ministero dell’ambiente” ) e lo spessore dell’ex ministro dimissionato Nicolas Hulot rispetto al nostro ministro dell’ambiente (a proposito: chi è? Oltre che su Wikipedia, voi l’avete mai visto?); ha sbagliato tutto su come impostare la questione. I gilet gialli, per quanto espressione di un insieme di esasperazioni e rivendicazioni, ne sono la testimonianza. Infatti, perché mai mettere una tassa flat sulla

Gli acceleratori della crisi

Spesso si fa riferimento all’accordo di Montreal per contrastare il buco nell’ozono come: “un esempio di eccezionale cooperazione internazionale: probabilmente l'accordo di maggior successo tra nazioni” (Kofi Annan). Paradossalmente, i due maggiori artefici delle politiche di deregolamentazione neoliberista sono gli stessi che, prendendo atto dell’urgenza del problema, spinsero per una sua risoluzione attraverso questo storico accordo del 1987: Thatcher e Reagan. Questo accordo offre speranza a tutti coloro che vedono nell’attuale sfida sul clima il riproporsi della necessità di uno sforzo congiunto. Sotto questo punto di vista l’accordo di Parigi del 2015 è una base sulla quale costruire risposte efficaci contro l’effetto serra e, in generale, i problemi ambientali. Ora, vanno notate alcune divergenze importanti di contesto e della natura del problema, per cui non è così immediato paragonare i due accordi e relativi fenomeni: Il protocollo di Montreal si rivolgeva verso un

L'azienda di domani

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In un precedente post (fare i manager rimanendo brave persone) si è visto come le aziende, all’interno dell’economia di mercato capitalista, siano soggetti economici con una responsabilità sociale. Ovvero, se il driver è la logica dell’accumulazione, le “risorse” umane e il loro bacino relazionale sono materie prime funzionali alla competizione per il profitto. In un altro post (alternative concrete alla crescita) si sono indicate delle alternative concrete per una società post-crescita, attraverso degli scenari macroeconomici, in particolare grazie a uno studio di Peter Victor. Ora, unendo questi due elementi: come immaginare l’azienda del futuro? Non sfugge la contraddizione: se l’azienda di capitale è un soggetto privato che punta all’accumulazione di capitale, come può inserirsi all’interno di un contesto a zero crescita? Infatti, la competizione per la crescita del profitto è una spirale che è causa e vittima del circolo vizioso che genera. Imporre un limite alla crescita v

Il potere di rinunciare

Le vicende dei gilet gialli di questi giorni pongono diverse questioni alla struttura del potere tipico delle nostre democrazie rappresentative. Senz’altro vero come la violenza non giustifica mai l’ideale, senz’altro vero come coloro che sono scesi in piazza con l’idea di usare la violenza non c’entrano nulla con il movimento e sono frange isolate; vero: non si risolvono in questo modo i problemi. Ma è anche vero, purtroppo, che l’utilizzo della violenza non è semplicemente “una bravata” è una forma di espressione. Infatti, occorre non avere nulla da perdere per accendere una rissa del genere, rischiando la galera o la vita. Allora, da cosa è mossa tutta questa rabbia? Può solo la rabbia giustificare queste azioni, oppure una certa forma di urgenza sociale più profonda? Quanto i modelli culturali influiscono in questo, se spesso si sente dire da questa gente: “vogliamo solo che la ricchezza sia condivisa”? Ma quale ricchezza? Si sa, il confronto genera più infelicità di ciò che

Chi l'ha detto che la sostenibilità è sostenibilie?

Chi l’ha detto che internet non inquina? A quanto pare i Bitcoin, secondo l’analista finanziario Alex de Vries, rappresenteranno il 5% della domanda mondiale di elettricità entro la fine di quest'anno. Per non parlare del consumo complessivo di internet, infatti secondo Greenpeace, nel 2020 Internet consumerà più energia di Francia, Germania, Canada e Brasile insieme.   Non è difficile immaginarlo, considerato che i complessi algoritmi e la mole di informazione macinata in quantità sempre maggiori dai server (che nel frattempo si moltiplicano), hanno bisogno di energia. Chi l’ha detto che l’auto elettrica non inquina? Dopo la delocalizzazione della produzione a basso valore aggiunto (la Cina che progressivamente è diventata la fabbrica low cost globale), assistiamo alla delocalizzazione ecologica. A quanto pare con l’auto elettrica riduciamo le emissioni CO2 lì dove prima circolavano disel e benzina. Peccato che per produrre una batteria elettrica occorre scavare ben in