La lezione francese


Aldilà della generica antipatia transalpina che ci lega con i nostri vicini francesi occorre però notare che sulla questione ambientale ci stanno catapultando verso il futuro. Infatti, hanno un ministero della transizione ecologica che ha provato a fare il suo lavoro facendo diventare manifeste, più che altrove, le tensioni potenziali tra questione ambientale e stili di vita (sostenuti dalla crescita). La Francia, pur essendo “avanti” sotto questo punto di vista, se solo si considera il nome del ministero (appunto, si parla di “transizione ecologica” e non semplicemente di “ministero dell’ambiente”) e lo spessore dell’ex ministro dimissionato Nicolas Hulot rispetto al nostro ministro dell’ambiente (a proposito: chi è? Oltre che su Wikipedia, voi l’avete mai visto?); ha sbagliato tutto su come impostare la questione. I gilet gialli, per quanto espressione di un insieme di esasperazioni e rivendicazioni, ne sono la testimonianza.
Infatti, perché mai mettere una tassa flat sulla benzina, che sa un po’ da “accisa” anni ottanta, quando, per rimanere sullo stesso leitmotiv di questo tipo di interventi, si potrebbe:
·         mettere una tassa ai suv e le auto di lusso che, generalmente, impiegano più carburante a Km percorso e nel loro ciclo di vita utile (dalla costruzione al riciclo) impiegano più CO2 (in fondo non sono i più ricchi a fare dell’auto uno status? Motivo per cui si vedono macchine sempre più grandi, grazie alle quali le case costruttrici marginano di più rispetto a quelle economiche?)
·         mettere una tassa sugli spostamenti aerei (in fondo non sono i più ricchi a viaggiare?)
·         perché non tassare le rendite e, con il ricavato, sostenere l’acquisto di auto nuove che hanno un impatto ecologico più basso di quelle vecchie? (in fondo non sono i poveri ad avere un’auto più vecchia? Così facendo si incoraggia anche la sostituzione del parco auto)
Solo dopo che si sono dati questi messaggi, di non far pagare sempre ai più poveri il conto, allora è più comprensibile una tassa sui carburanti.
Ma il vero punto è che i problemi sociali generati dal neoliberismo capitalista hanno aumentato la disuguaglianza tra ricchi e poveri, quindi già di per sé occorrerebbe spendere dei soldi a sostegno di politiche più sociali. Tuttavia, la corrente economia mainstream afferma che non è possibile spendere se non si cresce (motivo per cui gli stati ormai sono delle aziende). Ora, crescendo ci troviamo strutturalmente di fronte al problema ecologico, sotto questo punto di vista portare avanti politiche ambientali all’altezza del problema non può che essere un insuccesso, relegando l’ecologia in un secondo piano talmente di lungo periodo da non essere mai davvero toccato dalle agende politiche. Quello che è successo con le dimissioni di Nicolas Hulot, trovandosi solo di fronte a specifiche lobby. Essendo questi i problemi, volendo affrontare contemporaneamente e con la giusta priorità questioni entrambe cruciali che non si possono porre in modo antitetico: ecologia vs questione sociale, occorre che l’Europa esca da una logica tecnocratica di austerity. Quindi dal capitalismo, che costringe gli stati a logiche non compatibili con il bene comune (certo, a meno che non si “cresce”), quindi da una democrazia rappresentativa in balia di un mercato così libero da dissolverla.   
In particolare, due questioni ci appaiono paradigmatiche della situazione francese:

·         Dimissioni di Nicolas Hulot ex ministro della transizione ecologica francese. Al centro del dibattito c’è stata la vittoria delle lobby sulla capacità politica di affrontare delle scelte guidate al bene comune, come il riscaldamento globale. Questa situazione getta una oscura luce su quanto, nelle democrazie rappresentative capitaliste, l’attività di lobbing sia diventata potente. Non che di per sé sia un problema il lobbing in quanto difesa degli interessi privati; il punto però è, come al solito all’interno dell’accoppiata: capitalismo e “democrazia” rappresentativa. A un potere economico crescente si associa una sfera di influenza maggiore, sia in termini economici in senso stretto che come capacità di una certa lobby di influenzare l’elettorato (spesso le due cose sono legate). Chiaramente una degenerazione che non si verificherebbe all’interno di una democrazia diretta apartitica. Di nuovo, il diritto alla libertà lobbista di difendere i propri interessi è sacrosanta, la politica dovrebbe ascoltare tutti gli interessi particolari per poi elevarsi e prendere scelte giustificate dall’interesse comune. Il problema è che, in questo sistema politico facilmente ricattabile, non tutte le voci hanno pari peso. Non solo, in fondo quale sarebbe la lobby dei cittadini? Il semplice fatto di essere chiamati alle urne ogni 4 anni (nel migliore dei casi)? Magra consolazione facilmente manipolabile. Si è talmente disorientati dalle informazioni settimana dopo settimana che è troppo facile fare marketing di quello che si è fatto per la collettività lungo un mandato di quattro anni.
Purtroppo, se la politica si comporta come le aziende perseguirà sempre il bene totale, se necessario a scapito di quello comune. Il credo neoliberale: “la marea alza tutte le barche” (ovvero, il bene totale corrisponde a quello comune) funziona quando i ritmi di crescita sono molto alti, meno bene quando si abbassano (generando disuguaglianze, ed è quello a cui assistiamo oggi)…Figuriamoci quando non si cresce affatto o, peggio, si va in recessione. Se non si ridisegna tutto il modello di governance democratica e capitalista (in fondo oggi un’unica cosa), il disastro è annunciato. Sotto questo punto di vista, non stupisce che Hulot abbia lasciato il ministero, chiedendosi chi governa davvero. Quella sua può sembrare una sconfitta politica, incapace di sapersi affermare in quell’ambito, quando in realtà ha giocato un’altra partita rispetto alla dimensione del “business as usual”. D’altra parte parlare di transizione (ecologica) non vuol dire semplicemente un uscire fuori da un determinato regime “as usual”? Semmai l’ex ministro può essere criticato di essere stato troppo idealista, avendo avuto la velleità di far cambiare di paradigma a un establishment che non vede neppure l’urgenza di problemi “comuni”, pensando solo all’equilibrio degli interessi “totali”.  

·         Gilet gialli. chiedono le dimissioni di Macron ma perché non le dà? Perché cerca di “combatterli”? In fondo, dai sondaggi, non è che il 20% dei Francesi a stare dalla sua parte. Ma, ancor prima, che senso ha fare dei sondaggi ogni settimana per valutare il consenso del presidente? Testimonianza del fatto che la democrazia rappresentativa non è democrazia, poiché non c’è diritto di revoca degli “eletti”. A meno che per revocare un politico non sia necessario scendere in piazza e mettersi un gilet giallo o che lo spread superi determinate soglie, come nel caso di Berlusconi nel 2011. Aspettare ogni 4 anni per revocare il mandato degli eletti non è che poca cosa rispetto alla necessità politica di fare il bene comune senza mistificazioni.

Tutte queste vicende francesi degli ultimi mesi ci ripropongono con forza l’intreccio dei problemi a cui assistiamo: un modello economico/politico che è causa del problema a cui viene chiesta una sua risoluzione. Come soffiare sul fuoco per spegnerlo. Cinicamente l’unica rassicurazione è che il fuoco si spegnerà prima del previsto, bruciando tutto più velocemente.
Se si vuole restare in tale modello non si potrà che privilegiare una prospettiva di breve periodo della fine del mese (la rassicurazione del bene totale). Chi detiene il potere magari metterà a tacere le proteste attraverso qualche “contentino”, alla fine gettando pericolosamente ancora una volta in secondo piano la questione di lungo periodo del bene comune. La bolla scoppia lì dove non è più possibile contenere, attraverso risposte di breve periodo, questioni che fino a ieri ci apparivano lontane, assegnate a una generazione diversa dalla nostra.  
Ovviamente in Italia abbiamo altri problemi, ben lontani da svelare le contraddizioni insite in tali questioni, si porta avanti una politica senza alcuna legittimità. Frutto di una strana commistione chiamata “contratto di governo”. Si fa difficoltà a capire se questa composita legislatura arriverà a fine mese, figuriamoci della macroniana alternativa “fine del mese o fine del mondo”!
Ma c’è un’ultima considerazione da trarre dalla lezione francese: nessun governo si salva da solo. La Francia ha voluto ambiziosamente appellarsi alla “transizione ecologica” e coraggiosamente ha giustificato l’aumento del carburante per ridurre l’impatto ecologico. Se tutto ciò si è rivelato un disastroso fallimento è anche perché non c’è alcuna forte legittimità internazionale sulla questione ambientale. In effetti, come fa il governo francese a uscire dalla logica “business as usual”, avallando le coraggiose iniziative di un ministro della transizione ecologica, se deve competere a pari armi con altre nazioni? Come fanno i gilet gialli a giustificare l’aumento del carburante quando nessun altro paese, a partire dall’Europa, sta mettendo in atto sacrifici, seppure minimi, in vista della questione ambientale?

Commenti

Post popolari in questo blog

Perchè le società falliscono

Dimmi che crisi vivi e ti dirò chi sei