L'età degli ossimori


Vivere nell’età degli ossimori vuol dire credere che la contraddizione si risolva in un progresso, in una hegeliana sintesi che emerge dal confronto tra tesi vs antitesi. Questa è una concezione lineare tipicamente occidentale, vissuta da un certo teleologismo biblico, in cui si vede la storia come un processo orientato a un fine, che sia la provvidenza o poi la razionalità. Si pensi a Helgel: “ciò che è reale è razionale e ciò che è razionale è reale”. All’opposto, le concezioni del mondo orientali sono permeate da una certa ciclicità ricorrente, basti pensare al concetto di Saṃsāra e al ciclo di rinascite a cui sottintende la dottrina della reincarnazione.
Sotto il punto di vista occidentale le competizioni, le frizioni che queste presentano anche da un punto di vista meramente darwiniano, sono delle inevitabili necessità verso uno stato migliore del mondo. Così, pensiamo sia possibile coesistere in dei fenomeni contraddittori, pensando che tale opposizione sia (anche in termini marxisti) il “motore della storia”:
sviluppo – sostenibile
democrazia – populismo
globalizzazione - sovranità
più occupazione – più intelligenza artificiale
capitale – forza lavoro
più credito – più debito
performance – work life balance

Allora non stupisce se in queste contrapposizioni, alcune del tutto attuali, non vediamo delle minacce bensì delle opportunità. Tuttavia, l’esito potenzialmente esplosivo di queste opposizioni si può manifestare nella funzione o distribuzione “normale” di determinate variabili: la gaussiana. Curioso come l’indizio di un potenziale disequilibrio tra fattori contraddittori deriva proprio dall’ambito tecnico/matematico/probabilistico, che ha fortemente contribuito a supportare il paradigma lineare, “progressivo”, entro cui vogliamo inserire quelle contraddizioni.

  • Pensiamo al paradosso di Esterlin: non è forse una gaussiana a mostrarci come l’ostentazione verso il benessere materiale va a minare proprio quest’ultimo?
  • Pensiamo al paradosso del potere di Dacher Keltner: non è forse l’ostentazione verso l’accentramento e la crescita del potere a minare le qualità positive che l’hanno portato ad affermarsi?
  • Pensiamo al paradosso ecologico: non stiamo forse assistendo a una degradazione dell’ecosistema intero, proprio a causa di quel livello di benessere e tecnologia che ci ha portato a poterlo preservare?


D’altra parte, l’inflazione non risponde a questa logica paradossale? Per questo si fondano interi approcci di politica economica per tenerla in equilibrio, per “stabilizzarla”. Strano che non accada per un altro concetto economico come l’utilità marginale, che si cerca progressivamente di “inflazionare” (dal latino inflāre «gonfiare») attraverso l’estensione dei bisogni in desideri. In realtà, l’approccio “inflazionistico” è l’approccio ostentativo, lineare, della crescita. Se non ci rendiamo conto che tutte le altre gaussiane rispondono alla stessa logica pensiamo sia possibile perseverare in quegli ossimori, quando in realtà il fatto che sono ossimori è il fatto che sono delle gaussiane. Dietro ogni gaussiana c’è quindi un “punto di pareggio” un break even point a partire dal quale, se si ostenta nella stessa logica, si rischia di avere effetti controproducenti.
È interessante constatare come, da un punto di vista morale, le beatitudini evangeliche e il principio “Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato” (Lc 14,1.7-11) siano espressione degli estremi della gaussiana morale. Sotto un altro dominio, del tutto differente, è altrettanto interessare vedere come Einstein, che di problemi e di matematica se ne intendeva, esprime lo stesso principio riconducibile a una “funzione normale di distribuzione”: “Non si può risolvere un problema con la stessa mentalità che l'ha generato”… Dove il “problema” nasce nel momento in cui una strategia che ci ha portato ad un certo punto inizia a mostrare dei problemi.
Allora, fino a che punto è possibile persistere in quegli ossimori? Fino a quando il punto di pareggio non viene superato? Ogni curva ha una sua progressione, più o meno lenta, il punto è quantomeno sapere che c’è un break even!
A tale proposito, due espressioni mi sembrano esprimere chiaramente il lento sgretolarsi di una consapevolezza su un qualsivoglia punto di pareggio. La prima è “l’erosione delle risorse morali” di cui parla Jonathan Glover nel suo libro Humanity. Un lento processo che ricorda quello dell’inquinamento ma questa volta “nell’ecosistema morale”, in cui le più grandi atrocità si sono potute verificare dal momento che si sono neutralizzate le risorse morali di prossimità, empatia, lasciando campo libero alla disumanizzazione. Una cecità divenuta possibile, riflettendo sulla seconda espressione, attraverso The Corrosion of Character: The Personal Consequences of Work in the New Capitalism (Richard Sennett). Una corrosione che “arrugginisce” alla competizione (darwiniana) per lo status, rafforzando l’individualismo economico (smithiano) di stampo consumista. Tale corrosione erode la capacità di vedere la gaussiana che ci governa, imprigionandoci nell’ostentazione.
Dunque, sarà anche vero che tutto ciò che è razionale è reale, fino a quando, superato il break even, non entriamo nel paradosso, ovvero nell’irrazionale, e, più comunemente, in quelle che chiamiamo “crisi” (degli ossimori).  

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