L'ingenuità al potere
Sono le domande
ingenue a mettere in difficoltà qualsiasi ideologia, poiché costringono a un
ripensamento dei fondamentali. Ad esempio, ciò accade in domande come: perché l’economia
deve sempre crescere? Oppure: come mai nessuno ha visto arrivare la crisi
economica?
Se poi domande del
genere, come quest’ultima, le fa la Regina d’Inghilterra nel 2008 a una platea
di economisti abbiamo fatto bingo, perché l’indicibile (ovvero scoprire il vaso
di pandora dei fondamentali) occorre che sia detto. Occorre cioè che domande
apparentemente banali, perché aldilà del “sistema”, vengano prese seriamente in
discussione. Abbiamo bisogno di questa ingenuità, che altro non è se non un
differente modo di vedere le cose. Un bisogno tanto più urgente nella misura in
cui non si pongono più domande “da un altro punto di vista” ma sempre dall’interno
di certi paradigmi. Insomma, meno c’è ingenuità poiché c’è il sapere di una
certa tecnica, più occorre essere vigilanti.
Dunque, dopo quella
domanda imbarazzante della Regina gli accademici della London School of
Economics hanno dovuto formulare una risposta, che non poteva liquidare il
mittente connotandolo di ignorante per non capire che “certe cose succedono”, giustificando
il tutto con “sono stati dei problemi tecnici”. No, la risposta doveva essere
più generale, imponeva una visione d’insieme più “filosofica” e meno “tecnica”
dicendo che si è trattato di:
“un fallimento
dell’immaginario collettivo di molte persone brillanti a livello nazionale e
internazionale nel comprendere i rischi per il sistema nel suo complesso”.
Ma, a cosa è dovuto questo fallimento
dell’immaginario collettivo? Forse nella mancanza di competenze, sensibilità e
approcci che sappiano pensare e vedere “il sistema nel suo complesso”? Non è
forse questo uno squarcio di insufficienza dell’attuale teoria economica,
considerata la sua natura di scienza sociale?
Queste allucinanti affermazioni sono
lo spettro del fatto che, all’interno delle strette visioni
economico/scientifiche, non siamo più in grado di dare un senso al sistema, di vederne la direzione: siamo tutti tecnici. Ma
cosa succede quando ognuno è concentrato sulla sua tecnica, con i suoi
principi, senza che ci sia qualcuno (magari tacciato di filosofeggiare
inutilmente, dedicandosi a un approccio più qualitativo e umanistico) che possa
interpretarne e supportarne la direzione? Succede, come su una nave, che il
problema rischia di manifestarsi in modo forte e violento; una pesa di
coscienza dopo una collisione. Se si è fortunati il colpo può far ripensare l’intera
nave, cercando di rafforzarne la struttura. Se si è meno fortunati, poiché l’ideologia
è scesa in profondità, e la nave non è in pericolo la crociera continua
indisturbata, gestendo l’inconveniente come mera contingenza. La minaccia più
grande però risiede in quelle piccole fessure del sistema, progressive e quasi
invisibili agli occhi di chi non vuole vedere. Tali da farci continuare sempre
nella solita direzione, fino a quando il danno sarà strutturale e non del tutto
riparabile.
Fuori dalla metafora, una grave crisi
finanziaria genera un grande impatto ed enormi problemi, sono tuttavia
recuperabili e modificabili poiché il problema è nel sistema stesso, che è un
prodotto umano. Faccenda diversa per l’ecologia, questo è un fattore che si
deteriora meno direttamente, più lentamente e progressivamente. Questa sua
natura subdola è aggravata dal fatto che, una volta rotto il sistema, le
reazioni non sono interamente controllabili e gestibili, non essendo l’ecologia
un prodotto umano ma una sua precondizione (non un suo accessorio!).
Dunque, se associamo quell’affermazione
sconcertante, dei luminari della London School of Economics, ai problemi
ecologici nel loro insieme e con le loro conseguenze, la prospettiva diventa
tetra e inquietante. Si ha la sensazione che tutti i tecnici stiano
controllando il loro piccolo “Dashboard”, senza che vi sia nessuno a
controllare la direzione della nave, cercando di capire se sta prendendo dell’acqua
o meno. Appunto, la cosa più drammatica è che le due cose non sono affatto
slegate poiché è proprio quella mancanza di “visione collettiva”, che ha
permesso gli abusi economici sfociati nella crisi finanziaria, a non farci
affrontare adeguatamente la questione ecologica, a partire dalla rimessa in
discussione del modello economico. L’unica cosa positiva e negativa in tutta
questa faccenda è che, essendo legate economia ed ecologia, rivedendo la prima
possiamo rivedere anche la seconda. Nel suo lato positivo, agendo in favore
dell’ecologia si rende il sistema economico meno “goloso”, quindi meno
instabile. Nel suo lato negativo, persistere nella stessa logica economica
attuale non fa che aggravare un problema sul quale rischiamo di non avere più
controllo, così come lo abbiamo sui prodotti umani.
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