Factfulness
Questo è il titolo del libro di Hans Rosling, medico,
accademico e statistico svedese che si è battuto da un punto di vista
mediatico per darci un’immagine del mondo contemporaneo migliore rispetto a
quello a cui tutti pensiamo. Il ragionamento chiaro che sta dietro a quel
termine è la “pienezza dei fatti”, basta attenersi alla realtà e constatare che:
l’aspettativa di vita è aumentata, la crescita demografica stabilizzata, il gap
delle pari opportunità uomini/donne ridotto, riduzione della povertà estrema
etc. Insomma, di cosa ci lamentiamo? Quali scenari catastrofisti dovremmo
abbracciare se guardiamo attentamente i fatti?
Un messaggio incoraggiante che va in
controtendenza rispetto a una crescente letteratura pessimista capace di vedere
solo le minacce future ma non i passi in avanti fatti.
Tuttavia occorre fare almeno due osservazioni:
a) Il fatto che vediamo le cose peggio di quelle
che sono è proprio perché lo sviluppo e il progresso di cui parla Factfulness “ci
ha abituato bene” e quindi, in un’ottica di crescita alla quale ciò ci ha assuefatti,
cerchiamo di concentrarci sui miglioramenti. Quindi, paradossalmente vediamo le
cose negativamente proprio per un mindset ereditatoci dalle conquiste “fattuali”
che oggi ci troviamo.
b) Ma c’è un’altra ragione, ovvero il fatto che,
proprio perché rispetto al passato abbiamo una visione più ampia delle cose,
siamo anche in grado di individuare dei pregiudizi e delle tendenze che
potenzialmente possono essere distruttive. È un dato di fatto che la
complessità deve essere accompagnata dalla consapevolezza, quindi l’una riforma
l’altra, e più aumenta la complessità più deve aumentare la sua gestione; il
rischio è la destabilizzazione poiché le variabili sono maggiori. Appunto, Il
rischio di tale complessità, se non accompagnato da un altrettanto livello di
consapevolezza, è di rendere il sistema poco
sostenibile. Solo un ingenuo potrebbe affrontare al giorno d’oggi la realtà attraverso
i fatti e le conquiste fatte. No, la complessità richiede maggiore
consapevolezza tra cui l’intelligenza critica di individuare ideologie e
paradigmi sottesi. Se riflettiamo al futuro attraverso le visioni di ciò che è
stato ci condanniamo a tenere la testa sotto la sabbia.
Quindi, è proprio dall’indubitabile sviluppo
che abbiamo acquisito fino ad ora che dobbiamo anche essere in grado di pensare
un futuro che ci pone delle sfide più alte rispetto a quelle passate, perché il
sistema è di fatto più complesso. Sotto questo punto di vista pensare di
affrontare le sfide sempre nello stesso modo, attraverso la rassicurazione
delle logiche che ci hanno portato alle conquiste attuali, è quantomeno ingenuo.
Ad esempio, quando si fa la domanda: il numero di morti per
calamità naturali negli ultimi cent’anni è raddoppiato, rimasto invariato o
diminuito di oltre la metà? E la risposta è inaspettatamente positiva, credo ci
sia un fraintendimento di fondo. E’ ingenuo mettere sullo stesso piano un
disastro naturale di 100 anni fa con quello di oggi, fino a prova contraria l’economia
della conoscenza serve proprio per insegnarci alcune cose e fare prevenzione.
Quindi ben venga che ci siano meno disastri ma è anche vero che abbiamo più
mezzi per prevenire e curare. Piuttosto, se dobbiamo metterci nell’ottica del
miglioramento e della crescita, come recita la dottrina dominante, quanto
margine abbiamo di non peggiorare le cose con i comportamenti attuali che
minacciano l’ecologia? Magari potremmo ancora avere un bilancio in miglioramento,
ma quanti soldi in più dovremo spendere per tamponare i disastri naturali
causati da una crescita smisurata?
Secondo la visione factufless le cose vanno meglio perché
vediamo il pezzo fatto, ma se vogliamo essere esigenti (esigenza nata dall’efficientemente
di tutte le cose, a patire dalle nostre aspettative), siamo in grado di
mantenere quantomeno il benessere raggiunto fino ad adesso? Oppure i mezzi che ci
hanno condotto a questo sviluppo sono quelli che rischiano di minacciarci?
In realtà l’ottimismo di factufless è quello
di raccontare un pezzo della storia, il passato anziché il futuro, di
convincere attraverso un’accattivante storytelling, insomma attraverso delle
belle presentazioni e uno speech persuasivo: marketing comunicativo. Per questo
probabilmente piace tanto a Bill Gates, da uomo d’azienda qual è. Ma
probabilmente gli piacerà anche perché non stravolge gli assunti ideologici,
capitalisti, ostentativi, che l’hanno arricchito, dandogli al contempo una
rassicurazione che in fondo c’è meno disuguaglianza di quella che crede, sentendosi
magari meno in colpa per l’ampio divario che lo separa dagli emarginati. Eventualmente
riducendo l’urgenza con cui consacra parte delle sue risorse finanziarie in
beneficenza.
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